Perché ha scelto questa disciplina e come ne è venuto a conoscenza?
Praticavo già il Viet Vo Dao nella palestra Bao Lan e vedevo quelli che facevano Viet Tai Chi nella altra sala, ma non mi sembrava l’ attività per me; poi mi venne il mal di schiena e questo dolore mi accompagnò per molti giorni, e durante l’allenamento di Viet Vo Dao, lo dissi al Maestro, il quale mi rispose: ma perché non fai il Tai chi? Cominciai con qualche lezione, e mi appassionai subito, specialmente dopo aver verificato che il mal di schiena scomparve.
In che modo il VTC ha influito nel rapportarsi alla vita di tutti i giorni?
Il Viet Tai Chi entra nella mia vita tutti i giorni. Ogni mattina cerco di fare un po’ di esercizio e meditazione, perché mi fa stare bene. Per quanto riguarda il mondo del lavoro e delle relazioni sociali, sono molto più paziente. Ho imparato a trasportare la dinamica del Tai Chi, tempo e pazienza per imparare le forme, e applicare lo stesso principio con le persone tutti i giorni, dal lavoro, alla palestra, mentre sono in macchina, quando faccio la spesa.
In che modo il movimento fisico influisce nella mente/psiche e la modifica o arricchisce?
Io penso che quando il corpo e la mente si allineano, le cose arrivano in maniera automatica. All’inizio del percorso del Viet Tai Chi, tra essere Allievo ed essere Istruttore, e anche da quel poco che sono diventato Maestro, (anche se non si diventa maestri nel momento della consegna della cintura, ma si viene preparati anni prima) sono cambiate molte le cose; prima era un discorso di guardare e cercare di capire, poi incominciare a sentire e guardare, e poi fluire; e questa è stata l’evoluzione che mi ha fatto capire come il movimento arricchisce la mente e anche a livello più profondo.
Quale e quanto è il tempo da dedicare alla pratica quotidiana?
Il tai chi dovrebbe essere visto come uno stile di vita. Io credo che la pratica quotidiana oltre al lavoro della palestra, possa essere come inizio una mezz’ora. Diciamo che trenta minuti in una giornata si possono trovare. Io comincio al mattino con i Tibetani, un pò di meditazione, degli esercizi di riscaldamento e magari ogni giorno fare una forma. Quando si comincia a sentire che il corpo risponde bene, donandoci quella sensazione di benessere, aumenta la voglia di praticare. Se poi ci fossero delle velleità di insegnamento, il tempo della pratica dovrebbe essere più lungo, proprio per ricercare la perfezione del movimento giusto da trasmettere ai propri allievi.
Quando si capisce di essere pronti per affrontare un esame?
Nel corso degli anni è proprio cambiato il mio modo di approcciarmi all’esame. Noi abbiamo delle scadenze annuali per sostenere gli esami, poi pian piano quando si sale di grado è il maestro che ti dice, ti vedo pronto per l’esame, anche se tu maturi gli anni e lui vede che non sei pronto, non è detto che te lo fa fare.
In realtà non ci si sente mai pronti, oppure ci si sente prontissimi. Ci sono state delle volte in cui mi sentivo pronto e gli esami non sono andati come volevo, invece altre volte che mi sono detto ‘proviamo ‘ e sono andati benissimo. Io credo che ci vorrebbe un po’ di senso di autocritica alle volte, e non fare gli esami perché altrimenti si perde l’anno. Bisogna lavorare molto in palestra, frequentarla, e confrontarsi spesso con il proprio maestro per non avere dubbi, e alla fine il giudizio finale resta al maestro. Mandare all’esame un allievo che non è pronto non va bene. Se vedo che un allievo non frequenta, non si applica, non sono propenso a mandarlo all’esame. Ho avuto la fortuna di avere avuto tanti allievi nel mio percorso, ed ho notato che ogni allievo è diverso dall’altro. Per ogni allievo bisogna studiare il giusto metodo, sia come insegnamento che come approccio.
La consapevolezza e la percezione delle forme dal primo anno ad ora. Come sono mutate?
il primo Lu Dieu che mi ricordo era solo un tentativo di copiare qualcuno. Invece ricordo la mia forma di terzo Dang la ‘48’ a Pesaro, in cui la mente e il corpo erano insieme, e la mente guidava il corpo senza pensare. Quella forma dura otto minuti, e sono volati in maniera fluida, mi sentivo in sintonia con tutto quello che i stava attorno. C’era una specie di magia in me, erano i movimenti che studiavo da anni e finalmente sono usciti in maniera spontanea. Ricordo che il Maestro era soddisfatto e me lo fece capire. La Mia felicità era totale, un momento perfetto. Auguro a tutti gli allievi di vivere dei momenti così.
Come trasmettere la gioia di praticare questa disciplina a chi non la conosce?
Allora, essendo una persona solare, cerco di coinvolgere le persone con il sorriso e la serenità. Di solito le persone si avvicinano quando vedono una esibizione, un video. Anche se questa è una disciplina fatta da singoli, credo sia importante fare un gruppo. Le persone sono diverse, ognuno con le proprie esperienze sociali e lavorative, e la cosa bella che deve fare il maestro, è riuscire a unificare il gruppo, fare in modo che la lezione in palestra sia una cosa bella, vissuta con serenità e sintonia.
Ci sono stati dei momenti in cui la stanchezza e la vita di tutti i giorni hanno preso il sopravvento sulla pratica?
ln passato ho avuto dei momenti no; andavo in palestra malvolentieri e mi sono confrontato con il Maestro chiedendogli cosa potevo fare. Avevo dei problemi miei, non ero centrato. Credo che un allievo dovrebbe sempre parlare con un maestro quando arrivano queste difficoltà, un maestro è lì per ascoltarti e stimolarti, per cercare di tirare fuori il meglio da te. Mi sono sempre affidato al mio maestro, mi ha dato degli strumenti su cui lavorare in quei giorni e sono riuscito ad uscirne senza mollare l’insegnamento.
Lasciare tutto non ci ho mai pensato, anzi, quando un allievo di terzo dang lascia la federazione, spiace sempre. Se sei arrivato a quel Dang ed hai avuto degli allievi che credono in te, devi continuare ed esserci per loro.
Quali sono i doveri degli allievi verso i maestri e viceversa?
Credo che ci sia una parola che accomuna tutti ed è il Rispetto. Nella vita ho visto che a volte si viene a creare un rapporto di amicizia dopo anni, però in palestra i ruoli devono essere ben definiti, io sono il tuo maestro e sono qui per insegnarti nel migliore dei modi il Viet tai Chi, rispettandoti. Il maestro deve rispettare la crescita individuale dell’allievo. L’allievo deve essere concentrato in quello che sta facendo con disciplina durante la lezione
In che modo l’Occidente si apre all’Oriente attraverso la pratica del VTC e viceversa?
In realtà quello che ho vissuto in Oriente durante i miei due viaggi in Vietnam e in India, sono esperienze uniche, irripetibili e rare, che per quanto tu possa viverle cercando di portarle qui, non saranno mai la stessa cosa. Basta pensare agli allenamenti fatti nei giorni di pioggia, sulla terra, all’aperto senza tenere conto delle condizioni atmosferiche, alzandoti alle 4 del mattino. Lì le cose sono molto più lente. Tutto è più spartano e spirituale.
I maestri orientali che ho incontrato qui, hanno mantenuto lo stile orientale, ma pian piano si sono occidentalizzati; questa non è assolutamente una critica, è ovvio che siamo esseri in mutamento che dobbiamo vivere nel contesto in cui ci troviamo.
Ha una massima o citazione che usa spesso?
Una frase che amo molto (di un maestro spirituale) è: la vita è un viaggio, il mezzo è la conoscenza e la meta è l’amore.
Un aneddoto come allievo e come Maestro.
L’anno scorso mi sono presentato al corso istruttori senza kimono, me l’ero proprio dimenticato e non era mai successo. Chiedo umilmente al maestro come fare, mi spiaceva perdere la lezione; e lui senza dire niente, va verso uno scatolone pieno di kimoni vecchi e usati, ne estrae uno dicendo, questo va bene per Fabio Rango.
Come Maestro mi è capitato una sera, qualche anno fa, mentre facevo vedere una forma di spada, la spiego facendo vedere i passi da fare, e non mi accorgo che avevo cambiato la forma di spada, una specie di mix tra le prime due. Arrivo alla fine, e gli allievi mi guardano confusi, ma senza avere il coraggio di dire, maestro ha sbagliato. A quel punto mi sono scusato con loro, ma dentro di me sorridevo. Nessuno è infallibile, e ogni tanto sbagliano pure i maestri.