La Via del Viet Tai Chi, la Voce dei Maestri. Maestro Nunzio Ianiri

Perché ha scelto questa disciplina?

Tramite una amica di famiglia, che mi disse, vieni a provare il Viet tai chi?  Feci la lezione di prova, quasi come una sfida. Da ragazzo avevo cominciato a fare Karate, successivamente degli sport all’aria aperta perché non mi piaceva stare chiuso in una palestra, così ho cominciato con l’atletica leggera. Per anni non avevo più pensato alle arti marziali, così la sfida che mi ero posto, fu quella di arrivare fino alla cintura nera.

In che modo il Viet Tai Chi influisce nella vita di tutti i giorni?

Dal punto di vista iniziale è stato verso il terzo anno di pratica. Venivo da una attività di atletica leggera che mi aveva irrigidito le articolazioni, così ho notato che avevo delle performance migliori, il corpo pian piano diventava più morbido e riuscivo a fare delle cose che prima mi erano quasi impossibili. Nella vita di tutti i giorni vedevo che entrava sempre più in me lo spirito del Tai chi, dalla meditazione alla consapevolezza del corpo.  Premetto che sono sempre stato affascinato dalle filosofie orientali ed approcciarsi verso i quarant’anni a questa disciplina, mi ha permesso di capirla in modo diverso rispetto a quando avevo vent’anni.

Quale e quanto è il tempo per la pratica odierna?

Consiglierei come minimo le due volte canoniche a settimana, e di sperimentare sempre. Quando l’istruttrice che mi seguiva lasciò l’insegnamento, mi trovai a gestire i suoi corsi con l’aiuto di istruttori di grado più alto del mio. Ricordo che anche la Maestra Elena mi aiutò nella gestione dei corsi. Era molto stimolante fare tai chi, e stavo tutti i giorni in palestra. Diciamo che oltre alle due volte canoniche consiglierei di fare tutti gli stage e il corso istruttori, avere stimoli, confrontarsi con altri allievi che fanno il tuo stesso percorso e con quelli più avanti di te, aiuta tantissimo.

In che modo il movimento fisico influisce nella mente e la arricchisce?

Per me è tutto legato alla consapevolezza del respiro: misurare l’ampiezza di un gesto, la flessibilità, la velocità, attraverso una corretta respirazione, genera uno stato di benessere fisico e mentale. Faccio sport e sto bene, e la mia mente ne trae beneficio, in termini di tranquillità ed equilibrio psicofisico nella vita frenetica di tutti i giorni. Va bene qualsiasi sport, purché sia fatto in maniera consapevole, ascoltando il proprio respiro.

Come trasmettere e la gioia e la voglia di praticare il Tai chi a chi si approccia per la prima volta a questa disciplina?

 Secondo me quelli che cercano questa disciplina sono già predisposti al Viet tai chi.  Di solito sono persone adulte che cercano una attività in grado di generare benessere fisico. Io dico sempre che il Viet tai chi preserva il fisico e ti aiuta tantissimo nella vita di tutti i giorni.

Quando si capisce di essere pronti per affrontare un esame?

L’allievo dovrebbe eseguire la forma correttamente, e quando riesce a farla davanti ai suoi compagni, al suo istruttore senza bloccarsi, è il momento propizio. Ovviamente l’emozione gioca sempre a favore o sfavore, però sapere eseguire bene le forme avendo rispettato tutti i tempi degli anni accademici, e gli insegnamenti del tuo maestro, vuol dire che la maturazione dentro di te è avvenuta e in quel momento si è pronti.

La consapevolezza e percezione delle forme dal primo anno ad oggi come sono mutate?

Diciamo che le forme le senti e le cogli in maniera più completa. C’è una sorta di maturazione, una specie di musicalità, si affina di più l’orecchio. Cominci a capire meglio la tecnica, il significato della circolarità e apprezzi sempre di più il modo in cui pratichi il Tai Chi.

Ci sono stati momenti in cui la stanchezza e la vita di tutti i giorni hanno preso il sopravvento sulla pratica?

Si, è successo. A volte i problemi famigliari e lavorativi influiscono, ma si recupera facilmente. Un consiglio che mi sento di dare è: frequentare gli stage.  Gli stage aiutano con stimoli nuovi e il gruppo trascina sempre.

Quali sono i doveri degli allievi verso i maestri e viceversa?

Il rispetto è essenziale, sia da entrambe le parti. A volte si cerca di capire il carattere degli allievi, ascoltandoli e aiutandoli nell’apprendimento. Ognuno ha i suoi tempi di maturazione, sta al maestro capire ma sta anche all’allievo fidarsi del suo maestro.

In che modo l’Oriente si apre all’occidente e viceversa?

Non è facile entrare nella disciplina orientale, bisogna farlo per gradi, cominciando a destrutturare, pezzo per pezzo.  Noi occidentali siamo troppo razionali, vogliamo essere rassicurati sulle cose prima di farle; gli orientali invece le accettano, prima le fanno e poi se serve chiedono spiegazioni. Ecco cominciare ad aprirsi per gradi, fare le cose, praticare, è già un buon punto di apertura mentale.

Ha una massima o una citazione propria od altrui che usa spesso?

 Fai e ascolta.

Giocare sul limite.

Ha un aneddoto come maestro e come allievo?

Una volta ad uno stage facemmo una esibizione; eravamo tutti istruttori, seri e compassati, e ad un certo punto facciamo una smorfia con la lingua di fuori nella mossa del Leone; in quel momento la gente non sapeva se ridere o se fosse legata sul serio alla dimostrazione.

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